Tanti sono i meriti che avvolgono la vita e l’attività imprenditoriale del cavalier Aurelio de Laurentiis. Dal cinema ai gelati potremmo spaziare in lungo e in largo nei campi dell’imprenditoria.
Lungo e largo, già. Proprio come il Napoli di Rudi Garcia. scelta che col senno di poi potremmo definire avventata (forse anche col senno del prima).
Queste poche righe scritte di pugno non hanno però l’intento di stare a disquisire di tattica. Le mie basilari conoscenze sono indirettamente empiriche non avendo mai frequentate un corso di tattica.
Il calcio però, si sa, è fatto di tanti aspetti. non solo tattici. E deve gran parte del suo successo alla sua semplicità e al suo essere orizzontale. E allora permettetemi di dire la mia su quella che è stata la costruzione di questa stagione calcistica. La nefasta (almeno fino al 13/11/2023) annata calcistica 23/24.
Partiamo dalla fine, che dall’inizio son bravi tutti.
Il 4 maggio 2023 il Napoli si laurea campione d’Italia, siamo felici e lo sappiamo. Il super mega presidente è al centro della scena a ripetere, con fare deciso, “voi volevate vincere e abbiamo vinto”.
È l’inizio del declino e non lo sai. Tra foto con gli ultras e deliri di onnipotenza il cavaliere non ne ha azzeccata una. È ricaduto negli stessi errori del passato, quegli errori d’orgoglio che hanno portato Ancelotti in panchina in luogo di Sarri. Le dinamiche che hanno scaturito la scelta Rudi Garcia sono state le stesse. Ogni volta che il super mega presidente osserve quelli che lui considera null’altro che semplici collaboratori inseriti all’interno del suo ingranaggio ergersi a eroi del tifo e della stampa lui impazzisce di gelosia. Una perenne sindrome da pisello corto, oserei dire. “Il giocattolo è mio e ve lo tolgo quando mi pare” sembra essere il mantra del nostro Cavalierissimo Presidentissimo. La realtà, almeno dal mio punto di vista, è ben diversa. E parte dal rispetto per i ruoli. Aurelio sconfina di continuo dal suo territorio. Vuol insegnare tattica ad allenatori, l’arte del mercato ai direttori sportivi, come fare la pizza ai pizzaioli, il marketing ai pubblicitari e come fare le leggi ai governanti (su questo punto sono convinto potrebbe realmente far bene). Non voglio andare troppo a ritroso nel tempo. Mi basta tornare al 01 novembre 2022. Quel giorno il Napoli pur perdendo la partita a Liverpool si qualifica lo stesso come prima nel girone di Champions League. Il tutto mentre conduce la classifica di serie A con un discreto vantaggio ed un gioco che ha fatto innamorare l’Europa del calcio con la S. È lì che, per me, si finisce di rompere il rapporto con l’artefice dello scudetto, Luciano Spalletti.
Spalletti eredita un Napoli uscito distrutto dal triennio Ancelotti-Gattuso, culminato in quel Napoli Verona che ancora fa discutere.
A corredo un unicum all’interno del micro-cosmo calcio. L’ammutinamento. Spalletti in un anno riporta il Napoli prima a lottare per lo scudetto fino a marzo-aprile e poi a vincere un girone di champions terribile. Il piccolo Napoli umilia il Liverpool dei giganti davanti ai propri tifosi e gli arriva davanti in classifica. Chiunque altro avrebbe immediatamente proposto il rinnovo del contratto a Giuntoli e Spalletti, artefici delle scelte di uomini e formazioni. Invece no. Aurelio tace. di contratti non se ne parla neanche per scherzo. Si trincera dietro la vanagloria di un altro anno di contratto per Giuntoli e di un’opzione annuale da lui e solo da lui esercitabile per Spalletti. I contratti sono contratti. vero. Gli uomini sono uomini. Però. Lo scatafascio estivo è dietro l’angolo. Il super mega presidente ha l’ardire di andare in tv da Fazio ad affermare che il Napoli poteva essere allenato da chiunque. Anche da lui stesso (cosa poi verificatasi).
La chiave di volta è tutta lì. Lui continua ad andare a ruota libera, parla di Champions league, alza l’asticella col solo fine di screditare gli eroi popolari dello storico terzo scudetto. Un grande club però non si gestisce così, con un solo superuomo al comando. In una società si dividono meriti e responsabilità, gloria e disfatte. La storia insegna che i grandi presidenti hanno sempre avuto grandi collaboratori. Sua Cinematografia però insiste: il Napoli, il suo e solo suo Napoli può essere allenato da chiunque e così dopo aver preso porte in faccia a destra e a manca (chi mai verrebbe ad allenare una squadra che ha vinto dopo 33 anni e il cui presidente parla di vittoria della champions league pur non potendo promettere investimenti adeguati?), raschiando sul fondo della classifica dei papabili si “innamora”, platonicamente s’intende, di Rudi Garcia. Allenatore il cui apice è stato un secondo posto con la Roma nel 2013, risultato glorioso sul quale il mister dev’essersi probabilmente seduto avendo deciso di non aggiornarsi e praticare lo stesso calcio a distanza di 10 anni. Accanto a Garcia ecco spuntare la figura di Meluso probabilmente il meno colpevole tra i colpevoli. Un uomo il cui picco di carriera sono stati Spezia e Lecce. Il super mega presidente ha ben pensato di ripetere le stesse mosse fatte al tempo con Giuntoli pescato dal Carpi. Non si è accorto però che il tempo è passato, il Napoli di oggi non è quello del tempo. Le esigenze e le difficoltà sono diverse. Ora non è allora.
Meluso viene catapultato da Marte a Dimaro, non sa nulla del rinnovo di Osimhen, del sostituto di Kim o degli obiettivi di mercato. Eppure viene dato lo in pasto alla stampa sotto l’occhio vigile di Aurelio e del genero Sinicropi, di colpo diventato club manager della SSC NAPOLI e astro nascente della direzione sportiva.
Riassumere i mesi passati dal 04 maggio 2023 è semplice: è la costruzione di un disastro scelta dopo scelta.
L’autore è un uomo che pensava di ripartire con i punti di vantaggio dello scorso campionato, che pensava che programmare una stagione fosse meno importante dell’organizzazione di una festa scudetto (bastava quella del 4 maggio, lo sproloquio di giugno è stata una tortura), di un uomo che per far dispetto alle mogli che, a lungo trascurate, avevano deciso di lasciarlo si è castrato da solo. Errare è umano, perseverare è diabolico.
Riparta da un direttore prima di un allenatore. Riparta dalla società invece che dal presidenzialismo. Tempo e figure adatte sono disponibili, perseverare sarebbe solo un nuovo mattoncino rotto nella costruzione di un disastro.
[@Iljugeliano]
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