Nella Napoli devota alla maglia azzurra si sà, ci sono due macro gruppi destinati a scontrarsi in una guerra eterna, che ricorda molto quella tra Lancaster e York; da un lato ci sono i devoti al presidente Aurelio De Laurentiis, mentre dall’altro gli ormai noti #A16, odiatori seriali del suddetto. Tralasciando gli ovvi meriti del patron azzurro, capace nonostante gli errori di portare stabilmente la squadra di Partenope nel calcio che conta, e le ragioni degli #A16, c’è un’affermazione che in città, e tra gran parte di ambo gli schieramenti della tifoseria, non sembra passare mai di moda: “ADL sarà pure un pessimo presidente, ma è un grande imprenditore”. Sarà davvero così? Beh, secondo chi vi scrive… no. Sia ben chiaro, il lavoro svolto dal Presidente dal punto di vista prettamente imprenditoriale ha comunque il suo indiscutibile valore; le intuizioni di successo ci sono state, basti pensare ad esempio all’autoproduzione dei kit indossati dai calciatori, o ancora al successo – già acclarato dal punto di vista economico – di “Sarò con te”, film che celebra l’impresa compiuta l’anno scorso dai guerrieri azzurri. Tuttavia, queste e tante altre intuizioni, estremamente valide, non rendono ADL un “buon imprenditore”. Perché? Beh, è facile. La SSC Napoli (che rappresenta praticamente il 90 % del fatturato del gruppo Filmauro, capite il problema?) , stando alle dichiarazioni dello stesso Aurelio, dopo aver chiuso lo scorso anno fiscale con circa 80 milioni di utile, ha accantonato una riserva di utile pari a circa 157 milioni di euro; riserva che, per chi non lo sapesse, dovrebbe servire perlopiù a soddisfare la voglia di garanzie di eventuali creditori, oltre che ad aumentare il rating bancario della società per un più facile accesso a linee di credito. In sostanza, per le società del mondo del calcio, le riserve sono estremamente utili, ma non indispensabili, e non in questa quantità. E dove sta il problema, direte voi. Ció dimostrerebbe la lungimiranza del patron, capace di vincere senza indebitarsi ed addirittura coprendo future perdite, no? Sì, ma il problema è in realtà proprio questo. Un imprenditore, oculato o meno che sia, è qualcuno che rischia, che sfrutta la propria disponibilità per creare valore, o per aggiungere valore a quanto già creato, investendo e – appunto – rischiando cifre più o meno considerevoli per provare a rendere più redditizia la sua creatura. Appare chiaro a tutti come ció non sia stato fatto, ed i risultati di tale scelta si sono inevitabilmente riflessi anche sulla sciagurata stagione azzurra. Investire parte delle entrate dello scorso anno, alimentate magari da un po’ di quel player trading tanto caro al Presidente – nonché unica VERA fonte di sostentamento della società – avrebbe sicuramente portato un bilancio ancor più solido ed una diversa visibilità agli occhi di probabili e presunti investitori. Trattenere una tale quantità di denaro invece a cosa ha portato, se non a mancate entrate pari alle riserve di bilancio accumulate con fatica nel tempo? Eppure l’occasione era ghiotta! Lo scudetto poteva infatti essere un punto di partenza perfetto per creare una società capace di proiettarsi un gradino sotto le super potenze europee; con i giusti investimenti, non solo relativi al calciomercato, ma anche e soprattutto su struttura societaria ed asset di ogni tipo, non sarebbe stato difficile immaginare un Napoli ancor più sotto i riflettori in una Napoli già al centro del mondo. Ma invece no, il tricolore è stato solo un punto d’arrivo. L’ennesimo di un’oculata gestione economica di un uomo che, nonostante spieghi egregiamente la differenza tra imprenditori e prenditori, con più coraggio e più investimenti sarebbe un ottimo esponente della prima categoria, e non il migliore della seconda.
Avvocato, perchè nascere tifoso del Napoli non era un dramma abbastanza grande. Amante del bel gioco, devoto al 10 ed al suo discepolo, il fenomeno con la 77. Non parlatemi di #New3ra, ho già il fegato abbastanza ingrossato.