Le parole di Vicente del Bosque, ct della Spagna campione del mondo nel 2010, hanno acceso una luce nel dibattito sul tema dell’immigrazione e del suo impatto positivo nello sport.
Riferendosi ai giocatori Nico Williams e Lamine Yamal, figli di immigrati e protagonisti del successo della nazionale iberica agli Europei, Del Bosque ha sottolineato il loro decisivo contributo alla causa.
“Ci hanno reso migliori” ha evidenziato l’anziano saggio del calcio spagnolo, anche in risposta alle accuse di una frangia estremista della politica spagnola che ha più volte definito quei ragazzi “non spagnoli”.
Come anticipato, quindi, l’immigrazione ha assunto senza dubbi una funzione significativa nel mondo sportivo, come dimostrano i casi delle nazionali di Francia e Germania nel calcio.
È però riduttivo parlare solo di immigrazione, visto che spesso ci riferiamo a seconde e terze generazioni.
Sarebbe infatti più corretto parlare di integrazione, un processo tanto complesso quando fondamentale per le società moderne.
Integrazione o dissoluzione: il futuro dello sport e della società italiana.
L’Italia è uno dei paesi che più fatica ad affrontare questo argomento, per motivi politici e storici.
Il nostro paese è stato a lungo caratterizzato da migrazioni interne e da emigrazione all’estero, e solo di recente ha visto un aumento delle migrazioni provenienti dall’Africa e dall’Asia.
Uno dei problemi principali del nostro Paese – ma non solo, sia chiaro – è come integrare quei ragazzi, alcuni dei quali sono nati qui, che probabilmente vedono nello sport uno strumento di emarginazione, molto più di quelli che qualcuno maldestramente chiama di “razza italica”.
Buona parte dei giovani atleti che possono contribuire al successo dell’Italia trovano però difficoltà quando chiedono di ricevere la cittadinanza a 18 anni a causa della nostra burocrazia e ad una politica poco aperta.
Non abbiamo né lo ius soli né lo ius culturae come strumenti per facilitare l’integrazione.
Molti quindi vengono esclusi dalle nostre nazionali sportive e non possono nemmeno usufruire di strumenti di aiuto.
Sia chiaro, non è nemmeno una soluzione valida la cittadinanza per merito prevista attualmente dal nostro ordinamento, poiché è una norma pensata per chi è già affermato e discrimina i talenti ancora emergenti che sono quelli di cui abbiamo bisogno.
Non possiamo nemmeno concedere la cittadinanza solo ai “fenomeni” come in un noto film di Checco Zalone.
Ciò che sarebbe saggio fare è lavorare per una piena integrazione di chi legalmente è straniero ma che in realtà è nato ed ha sempre vissuto in Italia, rimuovendo gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono l’accesso di questi ultimi allo sport, invece di preferire (tramite la legge sullo “ius sanguinis”) di andare alla ricerca di sportivi che in Italia non hanno mai vissuto ma che hanno il nonno o addirittura il bisnonno italiano per i quali è più semplice accedere alla cittadinanza anche se in Italia hanno forse solo trascorso qualche periodo di ferie.